La corrosività di un olio minerale isolante è dovuta alla presenza di alcune specie dello zolfo. A parità di zolfo totale, nell’olio possono essere presenti composti dello stesso elemento quali i tiofeni che possono ritenersi particolarmente stabili oppure disolfuri o mercaptani che invece risultano particolarmente aggressivi nei confronti dei metalli, come il rame degli avvolgimenti, presenti nei trasformatori.
Con il nome di “zolfo corrosivo” si identificano quelle forme di zolfo presenti nell’olio isolante minerale che sono corrosive nelle normali condizioni di funzionamento termico di un trasformatore. Il problema dello “zolfo corrosivo”, sebbene noto sin dai primi impieghi degli oli minerali, solo di recente ha creato notevoli problemi, con una casistica crescente di guasti irreversibili in trasformatori e reattori shunt di grande potenza. Ciò è dovuto – come precedentemente esposto – alle più recenti tecnologie di raffinazione adottate dall’industria petrolifera o a causa dell’aggiunta di sostanze antiossidanti (sempre a base di zolfo) in sede di produzione degli oli isolanti.
Tale corrosività si manifesta anche in presenza di piccole quantità di “zolfo corrosivo” con una aggressione dello zolfo verso il rame, stante la loro nota affinità, con formazione di solfuro di rameche si deposita sullo stesso rame, con cui sono formati gli avvolgimenti, annerendolo.
Il processo ovviamente si manifesta in modo diverso a secondo del tipo di olio e in tempi diversi in funzione della temperatura e delle modalità di esercizio del trasformatore.
Il solfuro di rame così prodotto tende poi a distaccarsi dal rame ed entra in circolazione nell’olio depositandosi progressivamente all’interno delle carte isolanti, altamente porose. La circostanza poi che il solfuro di rame sia conduttivo porta a un progressivo riscaldamento delle carte per le correnti di circolazione e per il concomitante aumento del fattore di perdita e diminuzione della resistività (vedi Tabella 2).
È facile intuire come da qui possano poi generarsi guasti esiziali per i trasformatori coinvolti (cedimento dell’isolamento). Studi recentissimi hanno anche messo in evidenza che alcuni produttori di oli per trasformatori potrebbero aver aggiunto nel passato particolari sostanze a base di zolfo (DBDS – Dibenzildisulfuro) proprio per aumentare la stabilità all’ossidazione dei loro oli anche se poi lo stesso DBDS ha generato nei trasformatori guasti catastrofici da “zolfo corrosivo” (vedi Fig. 2).
Il composto solforato corrosivo, ossia il DBDS, è stato solo recentemente identificato e quantificato fino a concentrazioni di 580 mg/kg in oli nuovi e in esercizio con tecniche avanzate quali l’IFED (Integrated Fingerprinting & Elemental Diagnostics), grazie agli importanti studi portati avanti in Italia dalla Sea Marconi e da Terna e negli USA dall’Università del Missouri – Rolla.
Si ricorda che da oltre 40 anni il DBDS ha numerose applicazioni come additivo, tra cui negli alimenti (per il tipico sapore al caramello) ma, soprattutto, come antiossidante in molti settori industriali (lubrificanti, gomme, etc.) e come additivo stabilizzatore di frazioni e/o coadiuvante dei processi di raffinazione petrolifera.
Bastano concentrazioni di 20 mg/kg di DBDS, in un olio bianco e privo di zolfo, per determinare i segni critici di corrosione sul rame.