Zolfo corrosivo negli oli isolanti, recenti guasti e possibili contromisure

8 novembre 2007
Fig. 1 – Avvolgimento danneggiato di un reattore shunt da 550 kV. Il guasto è stato ricondotto alle azioni dello “zolfo corrosivo”.
Fig. 1 – Avvolgimento danneggiato di un reattore shunt da 550 kV. Il guasto è stato ricondotto alle azioni dello “zolfo corrosivo”.

Articolo originale pubblicato su “Unificazione e Certificazione”, n.8 settembre 2007, pag. 56 Pubblicato qui su autorizzazione di “Unificazione & Certificazione”
di seguito, su autorizzazione di Unificazione & Certificazione, abbiamo riportato integralmente l’articolo, suddividendolo in paragrafi per favorirne la lettura.

Negli ultimi dieci-venti anni le basi petrolifere da cui sono derivati gli oli minerali isolanti per trasformatori – essendo le stesse di quelle per i gasoli da trazione – sono soggette, nel rispetto di sempre più restrittive leggi ambientali, a processi spinti di eliminazione dello zolfo (desolforazione).
Tali tecnologie eliminano efficacemente la maggior parte dello zolfo originariamente presente nel petrolio; tuttavia, tale elemento rimane presente in piccole quantità e tende a ricombinarsi, formando molecole estremamente più reattive (“zolfo corrosivo”) di quelle originarie. Ciò sembra essere maggiormente sentito per i petroli a base naftenica, rispetto a quelli con più elevati contenuti di idrocarburi paraffinici.
In alternativa, è ormai opinione condivisa che prodotti solforati (quali il DBDS) possano essere stati aggiunti agli oli minerali che, ormai impoveriti di zolfo naturale, presenterebbero inadeguate proprietà alla stabilità all’ossidazione.
Parallelamente negli ultimi anni, nel mondo, si sono verificati un numero non trascurabile di guasti in trasformatori di potenza e in reattori shunt. In ambito CIGRE sono stati descritti guasti avvenuti in Colombia, Canada, Brasile, India, Italia, Spagna, etc. con coinvolgimento di unità anche strategiche e di grande potenza.

Questi guasti sono stati ricondotti alla presenza di “zolfo corrosivo” negli oli minerali; è, infatti, ormai opinione condivisa che tale zolfo, sotto l’azione crescente della temperatura di funzionamento, vada ad aggredire il rame degli avvolgimenti, formando solfuro di rame.

Il fatto che quest’ultimo risulti poi conduttivo conduce al passaggio di correnti di circolazione all’interno delle carte, con un loro progressivo riscaldamento sino al loro definitivo annerimento e danneggiamento (perdita delle proprietà dielettriche). Ne seguono guasti spira-spira e il breakdown finale (vedi Fig. 1).

A livello normativo IEC, l’Italia ha richiesto l’immediato avvio (2005) di un gruppo di studio congiunto con la CIGRE per la messa a punto di una prova che possa consentire preventivamente di stabilire la presenza o meno nell’olio isolante di “zolfo corrosivo”, in maniera più efficace di quanto possibile con la vigente norma DIN 31353.

Il CEI ha voluto organizzare una “Giornata di Studio” allo scopo di approfondire tale tema, di fornire un inquadramento sugli sviluppi normativi in tale settore ed evidenziare le contromisure oggi disponibili. Tale evento si è svolto a Milano a settembre 2006 ed è stato successivamente ripetuto l’8 maggio 2007 presso la facoltà di Ingegneria dell’Università di Roma “Sapienza”.

Presenza di zolfo in oli per trasformatori

Gli oli minerali, comunemente impiegati nei trasformatori come mezzo isolante, sono derivati del petrolio e rientrano, come classificazione, nella frazione dei “lubrificanti”. Il petrolio è sempre composto da idrocarburi che sono presenti contemporaneamente nelle loro tre forme principali, quali i composti paraffinici, naftenici e aromatici. La presenza percentuale delle diverse famiglie sono però assai variabili e per tale ragione la preponderanza di una famiglia sulle altre è stata presa come base di riferimento principale ai fini della loro classificazione.
Tuttavia, nel grezzo sono anche presenti molecole diverse da quelle sopradette e che includono nella loro struttura uno o più atomi di azoto, ossigeno, zolfo o metalli (“etero-atomi”). Nella Tabella 1 è riportato un elenco di differenti tipi di grezzi [2], del relativo contenuto medio di zolfo e anche, per illustrazione di cosa succeda allo zolfo durante le prime fasi della raffinazione, del contenuto in zolfo rilevato sul residuo di distillazione che si ottiene dopo le fasi della distillazione atmosferica (Topping) e della distillazione sotto vuoto (Vacuum).

Dai dati riportati nella tabella si può notare come, a prescindere dal contenuto originario nel grezzo di partenza, si verifichi sistematicamente un accumulo di zolfo nel prodotto distillato; si tenga presente che questo residuo rappresenta la materia prima per la produzione degli oli base lubrificanti, dai quali si ottengono successivamente gli oli isolanti.
Nei grezzi petroliferi, lo zolfo è presente sia allo stato libero, sia sotto forma di zolfo solforato (H2S), sia di mercaptani. Altri tipi di composti idrogenati dello zolfo (disolfuri e polisolfuri idrocarburici, nonché i tiofeni) non sono praticamente presenti nei grezzi, ma compaiono invece nei distillati a seguito delle operazioni di distillazione e di cracking. Si hanno ormai sufficienti evidenze per affermare che i solfuri idrocarburici, i disolfuri aromatici e i tiofeni esplichino una benefica e fondamentale azione

TABELLA 1 – PRESENZA DI ZOLFO (S % PESO) NEI GREZZI
PETROLIFERI E NEI LORO RESIDUI DI DISTILLAZIONE [2]

Provenienza
S in %
S in %
Grezzo Petrolifero
(Grezzo)
(residuo di distillazione)
AGHA JARI (lran)
1,4
2,5
BASRAH (Iraq)
1,1
3,5
KIRKUK(lraq)
2,0
n.a.
KUWAIT (Kuwait)
2,5
4,4
LAGOMAR (Venezuela)
1,4
2,3
LAGUNILLAS (Venezuela)
2,2
3,5
QATAR MAR (Qatar)
1,3
3,9
QATIF (Saudi Arabia)
2,6
4,0
TIBU (Colombia)
0,1
n.a.
ZARZAITINE (Algeria)
0,04
0,1

antiossidante, essenziale per gli oli isolanti. La raffinazione dei gasoli e dei residui di distillazione, che rappresenta il mezzo per ottenere le basi lubrificanti (da cui saranno prodotti gli oli isolanti), è stata eseguita nel tempo seguendo diverse tecnologie, quali:
– Raffinazione all’acido solforico;
– Raffinazione al solvente;
– Raffinazione all’idrogeno;
Fig. 2- Effetti sulle carte isolanti di un avvolgimento per trasformatori dovuto allo “zolfo corrosivo” e conseguente formazione di solfuro di rame.
– Raffinazione tramite hydrocracking.
Col progredire delle tecnologie di raffinazione, si è passati nel tempo a produrre oli lubrificanti con contenuti di zolfo (totale) pari a 1-2% (raffinazione all’acido) a 0,2-0,8 % (raffinazione al solvente, ove con un leggero successivo trattamento di idrogenazione a medio-bassa pressione si riesce a portare la presenza di zolfo sotto lo 0,1%).

TABELLA 2 – INCREMENTO DELTAN ? E DELLA RESISTIVITÀ
DELLE CARTE ISOLANTI DEGLI AVVOLGIMENTI IN FUNZIONE
DELLA CONTAMINAZIONE DA SOLFURO DI RAME

Stato carta isolante tan d Resistività
(O .m)
Senza contaminazione 0.003 5.1012
Bassa contaminazione CU2S 0.005 5.1010
Alta contaminazione CU2S > 1 5.104

La ricerca di migliori rese di produzione ha condotto negli anni 1960-1970 allo sviluppo di tecnologie di raffinazione basate su processi di idrogenazione: sia a bassa pressione per il trattamento di prodotti già raffinati al solvente sia a pressioni più elevate per il trattamento diretto di “tagli” di distillazione.
Mediante tali processi – oggi comunemente impiegati – si riescono a produrre oli isolanti con contenuto in zolfo inferiore allo 0,1% o, anche, minore. La validità di questa tecnologia trova comunque il suo limite nel fatto che una eliminazione così spinta dello zolfo e di suoi particolari composti (quali i tiofeni) riduce grandemente le doti antiossidanti rendendo inadatti tali prodotti per essere utilizzati come oli isolanti.
Per tale ragione, sia nel caso dei raffinati all’idrogeno come pure nel caso dei raffinati al solvente, l’industria petrolifera ha adottato la pratica del back-blending [2], cioè la miscelazione del raffinato con una piccola percentuale di distillato di partenza. Con tale operazione vengono infatti reimmessi nel prodotto già raffinato una certa percentuale di inibitori naturali a base di zolfo. In alternativa, o come integrazione di tale pratica industriale, gli oli finiti possono essere miscelati con piccole percentuali di additivi antiossidanti (normalmente a base fenolica) al fine di conferirgli le necessarie caratteristiche di resistenza all’ossidazione richieste dalla vigente norma IEC 60296.
Come si vede lo zolfo inizialmente presente nel petrolio subisce nei processi di produzione degli oli isolanti una progressiva trasformazione con formazione o additivazione di specie solforate (necessarie a garantire una elevata stabilità all’ossidazione). E’ da ritenere che i processi di raffinazione all’idrogeno utilizzati negli ultimi 20 anni circa abbiano di certo ridotto il contenuto totale di zolfo nelle basi lubrificanti ma abbiano indotto la necessità di utilizzare additivi solforati (per aumentare la stabilità all’ossidazione) degli oli isolanti. I numerosi guasti da “zolfo corrosivo” verificatisi in tale periodo possono far ritenere che tali nuovi composti dello zolfo siano risultati particolarmente aggressivi anche se presenti in piccole quantità.

Definizione di zolfo corrosivo

La corrosività di un olio minerale isolante è dovuta alla presenza di alcune specie dello zolfo. A parità di zolfo totale, nell’olio possono essere presenti composti dello stesso elemento quali i tiofeni che possono ritenersi particolarmente stabili oppure disolfuri o mercap-tani che invece risultano particolarmente aggressivi nei confronti dei metalli, come il rame degli avvolgimenti, presenti nei trasformatori.
Appunto con il nome di “zolfo corrosivo” si identificano quelle forme di zolfo presenti nell’olio isolante che sono corrosive nelle normali condizioni di funzionamento termico di un trasformatore. Il problema dello “zolfo corrosivo”, sebbene noto sin dai primi impieghi degli oli minerali, solo di recente ha creato notevoli problemi, con una casistica crescente di guasti irreversibili in trasformatori e reattori shunt di grande potenza. Ciò è dovuto – come precedentemente esposto – alle più recenti tecnologie di raffinazione adottate dall’industria petrolifera o a causa dell’aggiunta di sostanze anti-os-sidanti (sempre a base di zolfo) in sede di produzione degli oli isolanti.

Tale corrosività si manifesta anche in presenza di piccole quantità di “zolfo corrosivo” con una aggressione dello zolfo verso il rame, stante la loro nota affinità, con formazione di solfuro di rame che si deposita sullo stesso rame, con cui sono formati gli avvolgimenti, annerendolo. Il processo ovviamente si manifesta in modo diverso a secondo del tipo di olio e in tempi diversi in funzione della temperatura e delle modalità di esercizio del trasformatore. Il solfuro di rame così prodotto tende poi a distaccarsi dal rame ed entra in circolazione nell’olio depositandosi progressivamente all’interno delle carte isolanti, altamente porose. La circostanza poi che il solfuro di rame sia conduttivo porta a un progressivo riscaldamento delle carte per le correnti di circolazione e per il concomitante aumento del fattore di perdita e diminuzione della resistività (vedi Tabella 2).

Fig. 3 – Determinazione della corrosività dell’olio in base alla scala ASTM D130/IP154

È facile intuire come da qui possano poi generarsi guasti esiziali per i trasformatori coinvolti (cedimento dell’isolamento). Studi recentissimi hanno anche messo in evidenza che alcuni produttori di oli per trasformatori potrebbero aver aggiunto nel passato particolari sostanze a base di zolfo (DBDS – Dibenzildisulfuro) proprio per aumentare la stabilità all’ossidazione dei loro oli anche se poi lo stesso DBDS ha generato nei trasformatori guasti catastrofici da “zolfo corrosivo” (vedi Fig. 2).

Il composto solforato corrosivo, ossia il DBDS, è stato solo recentemente identificato e quantificato fino a concentrazioni di 580 mg/kg in oli nuovi e in esercizio con tecniche avanzate quali l’IFED (Integrated Fingerprinting & Elemental Diagnostics), grazie agli importanti studi portati avanti in Italia dalla Sea Marconi e da Terna e negli USA dall’Università del Missouri – Rolla.
Si ricorda che da oltre 40 anni il DBDS ha numerose applicazioni come additivo, tra cui negli alimenti (per il tipico sapore al caramello) ma, soprattutto, come antiossidante in molti settori industriali (lubrificanti, gomme, etc.) e come additivo stabilizzatore di frazioni e/o coadiuvante dei processi di raffinazione petrolifera.
Bastano concentrazioni di 20 mg/kg di DBDS, in un olio bianco e privo di zolfo, per determinare i segni critici di corrosione sul rame.

Evoluzione normativa IEC per la determinazione dello zolfo corrosivo

Tradizionalmente la corrosività dell’olio è stata controllata con un test del tipo “passa o non passa”. Una piccola lamina metallica viene immersa in olio caldo posto in una beuta chiusa e se dopo alcune ore il rame non si annerisce (secondo tonalità variabili che passano dal grigio al marrone, più o meno scuri, sino al nero) l’olio è considerato non corrosivo.
La valutazione del colore che assume il rame dopo la prova è eseguita utilizzando la scala proposta dall’ASTM (D130/IP154), secondo cui dai toni 1a (color rame) a 3b (multicolore) l’olio “non è corrosivo e da 4a a 4c (color nero) l’olio è “corrosivo” (vedi Fig. 3). Su questo principio “on/off” si basano sia la norma ASTM D1275 (che impiega rame in olio a 140°C per 19 ore) sia la norma DIN 51353 (che impiega argento in olio a 100°C per 18 ore). Tuttavia, questi metodi di prova si sono rivelati praticamente inadeguati a mettere in evidenza la corrosività degli oli isolanti.

Si ricorda, infatti, che le precedenti edizioni delle norme IEC 60296 (1978) e IEC 60422 (1989) indicavano quale metodo per la determinazione dello zolfo corrosivo negli oli minerali nuovi e in servizio, il metodo ASTM D1275. Va precisato che lo stesso metodo ASTM è lo stesso proposto in sede ISO (ISO 5662) anche se il documento ISO è stato recentemente (2005) abrogato.
Con le recenti revisioni di tali norme IEC 60296 e 60422, rispettivamente riviste nel 2003 e nel 2005, il metodo per la determinazione dello zolfo corrosivo è stato modificato passando dal citato metodo ASTM D1275 al metodo DIN 31353. Questa scelta fu adottata in quanto si affermò, in sede del Gruppo di Lavoro incaricato per la revisione della norma IEC 60296, che il metodo DIN forniva risultati maggiormente ripetibili.
L’inefficacia di tali metodi ha spinto l’Italia (CEI) all’inizio del 2005 a richiedere in sede internazionale (IEC) l’immediata revisione delle suddette norme IEC 60296 e IEC 60422. In particolare, l’Italia proponeva di reintrodurre il metodo ASTM D1275, modificando però la durata della prova da 19 ore a 72 ore per gli oli nuovi (IEC 60296) e a 48 ore per quelli in esercizio (IEC 60422).
La proposta italiana venne discussa nell’ambito del “Plenary Meeting” del TC10 dell’IEC (Cape Town, Ottobre 2005). In tale sede venne deciso di formare un nuovo WG (Gruppo di Lavoro: WG35) in ambito al TC10 dell’IEC per lavorare in stretto collegamento con la CIGRE (SC A2.32) per ricercare un nuovo e più adeguato metodo di prova per determinare la presenza di “zolfo potenzialmente corrosivo”.

Va ricordato che nel 2006 il WG A2-32 della CIGRE ha fatto circolare un “Interim Report” nel quale sono stati riportati i metodi studiati dalla CIGRE (TF A2-32.01) ed è stato indicato il metodo ritenuto più adeguato che il nuovo Gruppo di lavoro WG35, formatosi in ambito del IEC/TC10, avrebbe potuto proporre per la revisione delle norme IEC 60296 e 60422. In ambito CIGRE (TF A2-32.01) sono stati presi in considerazione tre possibili diversi metodi di prova per la determinazione dello zolfo corrosivo che sono stati valutati a mezzo di un apposito RRT (Round Robin Test) utilizzando 13 diversi campioni di oli e a cui hanno preso parte 18 differenti laboratori internazionali.La TF della CIGRE ha concluso i propri lavori affermando come, “sulla base del Round Robin Test effettuato, il Metodo 2 risultasse da preferirsi in quanto in grado sia di fornire risultati maggiormente ripetibili e riproducibili sia di determinare chiaramente la corrosività dell’olio”. Tale metodo prevede l’uso di una barretta isolata con carta kraft immersa in una provetta con soli 15 mi di olio saturato d’aria; la prova si protrae per 72 ore alla temperatura di 150 °C. La stessa TF poneva, tuttavia, alcune condizioni nell’utilizzo del metodo come quelle di ripetere tre volte il test e di validarlo con altri metodi qualora si ottengano risultati incerti. Queste prescrizioni paiono in contraddizione con le conclusioni sopra riportate ove il “Metodo 2? è definito riproducile e in grado di individuare “chiaramente” oli contenenti zolfo corrosivo.
L’incertezza delle conclusioni riportate dalla CIGRE appare ancora in modo più evidente se si riportano le raccomandazioni finali inserite nell’Interim Report del 2006. In tale documento si legge: “si raccomanda l’uso del metodo proposto dalla TF CIGRE (cioè il Metodo 2) solo sino a quando il meccanismo di formazione dello zolfo corrosivo non sarà pienamente chiarito e i metodi di prova per la sua determinazione potranno essere meglio definiti”. Va evidenziato come il prevedere un metodo completamente nuovo nell’ambito delle norme IEC 60296 e 60422 per la determinazione dello zolfo corrosivo possa rendere del tutto impraticabili confronti con prove eseguite nel passato e generalmente basate sul metodo ASTM D1275. In aggiunta, non si può omettere di citare che proprio nel corso del 2006 il metodo ASTM è stato rivisto e nuovamente riproposto (ASTM D1275-B) e dunque le due più importanti organizzazioni normative internazionali verrebbero a proporre soluzioni di prova diverse per evidenziare la presenza o meno di uno stesso problema.
Il Committe Draft (CD) preparato dal WG35 e circolato in ambito IEC nel 2007 ha proposto per la determinazione dello zolfo corrosivo il suddetto metodo di prova (Metodo 2) elaborato in sede CIGRE anche se viene detto che esso deve essere considerato come complementare al nuovo metodo ASTM (D1275-B) e che i due metodi possono dare risultati differenti.
Tale ultima affermazione desta preoccupazione tenendo conto del fatto che le norme IEC 60296 e IEC 60422 saranno a breve oggetto di revisione con particolare riferimento al metodo di prova per la determinazione dello zolfo corrosivo. Qualunque sarà il metodo introdotto, il sapere che esistono metodi diversi, complementari, in grado di dare risultati diversi o contrastanti, potrà essere oggetto di contestazioni e ciò è esattamente quello che una norma dovrebbe evitare.

Contromisure disponibili contro lo zolfo corrosivo

Le possibili contromisure per eliminare gli effetti fortemente negativi legati alla presenza di DBDS negli oli isolanti possono riguardare o la sostituzione dell’olio o l’aggiunta di passivatori o tecnologie innovative quali la depolarizzazione selettiva. Tuttavia tali contromisure sono solo in grado di arrestare le azioni dello “zolfo corrosivo”. I danni in precedenza già causati dallo zolfo corrosivo sulle carte isolanti permangono, a prescindere dalle contromisure adottate, e pertanto le unità interessate inevitabilmente presentano più elevati rischi di guasto.

Va poi aggiunto che a tutt’oggi non esistono tecniche diagnostiche in grado di valutare i danni, più o meno ingenti causati dallo “zolfo corrosivo” sulle carte isolanti e, conseguentemente, anche il rischio di guasto risulta di pressoché impossibile valutazione. La sostituzione dell’olio è una possibile contromisura che, tuttavia, riesce a dare insufficienti risultati poiché tale azione fisica non risulta mai “completa” restando parte dell’olio contaminato all’interno della macchina da trattare (circa il 5% dell’olio rimane impregnato nelle carte isolanti). Ciò implica che il processo dovrebbe essere ripetuto più volte, con un incremento notevole del costo del processo e creando anche problematiche di carattere ambientale (produzione di rifiuti). Si ricorda che con oli estremamente corrosivi perché ricchi di DBDS è sufficiente meno del 5% di olio corrosivo sulla massa di olio totale della macchina per determinare il potenziale rischio “zolfo corrosivo”.

Tale condizione critica è stata anche confermata dal nuovo metodo di simulazione del test di corrosività basato sulla riduzione del volume di campione di olio isolante pari 94%. Si è sorprendentemente dimostrato che per ottenere gli stessi risultati di corrosività con la classica beuta da 250 mi di olio basta un vial di 15 mi a contatto della stessa superficie di rame nudo da 300 mm2 e sottoposto a 150°C per48ore(ASTM1275-B).
Le azioni di passivazione dei metalli realizzate tramite additivi (BTA, Ciba Irgamet 39 ecc.) a concentrazioni tipiche di 100 mg/kg in olio sono delle “contromisure” che non sempre riescono a soddisfare efficacemente la loro azione di protezione delle macchine perché la pellicola molecolare protettiva (creata dal passivatore) è talvolta insufficiente contro l’attacco maggiormente corrosivo prodotto dallo “zolfo corrosivo” già presente. Le simulazioni sperimentali effettuate hanno dimostrato la dubbia azione passivante sul rame. La recente casistica di passivazione, realizzata su reattori a 500 KV per una rete di trasporto strategica di un importante operatore in Brasile, ha confermato la incerta efficacia di tale intervento perché si sono verificati una progressione di ben cinque guasti rispettivamente dopo 33, 101, 136, 168, 289 giorni dalla passivazione. Tale risultato critico è stato comparato con zero guasti nel caso della sostituzione con olio nuovo classificato “Non Corrosivo” sulla stessa famiglia di macchine.

Quale alternativa tecnologicamente più avanzata alle possibili contromisure verso lo “zolfo corrosivo” è stato sviluppato e valicato, già a livello industriale, un nuovo processo innovativo di depolarizzazione selettiva (Sea Marconi) in grado di realizzare gli interventi (con l’opzione sotto tensione e sotto carico) conservando le risorse non rinnovabili (evita il cambio dell’olio) e con un più favorevole bilancio ambientale (LCA).
L’intervento viene realizzato con unità mobili, operanti in situ, in continuo a circuito chiuso sulla macchina, senza svuotamento neanche parziale della carica di olio. Il processo messo a punto dalla Sea Marconi è in grado di eliminare definitivamente i contaminanti corrosivi dall’olio presente nella macchina, il quale – al termine del trattamento – può essere classificato come “non corrosivo” e, fatto non secondario, recupera anche tutte le proprietà funzionali richieste dalle norme IEC 60422 (Ed. 3 – 2005-10).

Passivatori e potenziali rischi ambientali

Da quando il problema della corrosività degli oli ha iniziato a generare numerosi guasti nel mondo, coinvolgendo trasformatori e reattori shunt di grande potenza, sono state condotte un numero elevatissimo di prove per determinare il grado di corrosività dell’olio contenuto in macchine costruite negli ultimi 10-15 anni (sia oggetto di guasti che non).
In moltissimi casi è stata riscontrata la presenza di zolfo corrosivo, qualunque sia stato il metodo impiegato per la sua determinazione. In altri casi è emerso che l’olio, sebbene superi la prova DIN 51353 o anche la prova ASTM D1275 come previsto dalle ultime due edizioni della norma IEC 60422, risulti corrosivo (anche ai massimi livelli) prolungando, ad esempio , il metodo ASTM a 48 ore (anziché le 19 ore precedentemente previste).
Ovvie le preoccupazioni che ne sono derivate tra i gestori delle reti elettriche. Quale immediata risposta al problema nel mondo, su pro-posta dei fornitori di oli, si sta facendo un sempre più largo impiego di passivatori metallici che se additivati all’olio neutralizzano la corrosività degli stessi. Tuttavia l’impiego dei passivatori non elimina i danni che lo stesso olio può aver prodotto in precedenza, principalmente in corrispondenza delle carte che, avendo intrappolato solfuro di rame, sono state oggetto di più rapidi processi di invecchiamento, perdendo in misura più o meno importante le loro proprietà dielettriche.

Il passivatore più largamente utilizzato è commercialmente conosciuto con il nome di Irgamet 39. Tipicamente vengono aggiunti 100 ppm di Irgamet 39 nella massa dell’olio da passivare. I passivatori possono avere anche effetti positivi sulla stabilità all’ossidazione e proprio a tale scopo nel passato sono stati largamente usati i “benzotriazoli” (BTA).Si calcola che negli ultimi due anni molte centinaia di trasformatori siano stati trattati con passivatori, quale contromisura verso il problema dello zolfo corrosivo. Sempre nel citato Report del WG 32-A2 della CIGRE è indicato, come esempio, che in Brasile siano stati passivati gli oli isolanti presenti in 218 reattori shunt di grande potenza attualmente in servizio (con interessamento di alcuni milioni di litri di olio minerale).
Cita sempre la CIGRE che tuttavia cinque di questi reattori (a livello mondiale i casi sono invece almeno il doppio) abbiano subito successivi guasti irreversibili a pochi mesi di distanza dal trattamento di passivazione. Inoltre, i passivatori aggiunti tendono nel tempo a degradarsi – in funzione delle temperature di esercizio – trasformandosi in altre sostanze, secondo meccanismi ancora non del tutto chiariti, perdendo la loro efficacia. Le grandi quantità di olio minerale che nel mondo si stanno trattando con passivatori, la loro certa degradazione all’interno dell’olio con formazione di prodotti di decomposizione, dovrebbe indurre una più severa restrizione d’uso delle stesse sostanze sino a quando non vengano condotti attendibili studi sui possibili effetti tossici e ambientali dei prodotti di decomposizione che si possono essere venuti a formare.
Se infatti è vero che tali passivatori (Irgamet 39) hanno avuto impieghi anche nel passato (ma in condizioni diverse) senza che siano noti incidenti, è altrettanto vero che i prodotti di decomposizione che possono formarsi nel tempo, con una contaminazione dell’intera massa d’olio, in trasformatori di grande potenza e in alta tensione sono ignoti e certamente diversificati in funzione delle cause che li hanno prodotti: surriscaldamenti, scariche parziali, archi elettrici a diverse temperature (con processi di pirolisi) ecc.

Va a questo punto ricordato che il tema dei passivatori e degli additivi in genere è oggetto della norma IEC 60666 {“Determination of anti-oxidant additives in insulating oils”, edizione 1979), anch’essa in corso di revisione nell’ambito delle attività del TC10 dell’IEC. Nella revisione di questa norma, in ambito del Gruppo di lavoro IEC incaricato, si è voluto apportare anche una modifica al titolo che dovrebbe essere trasformato in “Detection and determination of specified additives in mineral insulating oils”: con ciò è evidente che la portata della norma IEC 60666 non sarà più limitata ai soli additivi anti-ossidanti ma agli additivi in genere. E infatti, nel Committee Draft che il Gruppo di lavoro IEC ha fatto circolare nel gennaio 2007 sono indicati i metodi di prova per la determinazione della presenza dei passivatori (relativi allo zolfo corrosivo), quali Nrgamet39.
Con riferimento poi ai recenti studi che hanno messo in evidenza che alcuni produttori di olio per trasformatori potrebbero aver aggiunto nel passato particolari sostanze a base di zolfo (DBDS) per aumentarne la stabilità all’ossidazione, in ambito internazionale IEC, si è recentemente avviata una discussione alquanto viva circa l’opportunità o meno di inserire nella nuova revisione della IEC 60666, anche i metodi per la determinazione di tale sostanza (il DBDS), che – se aggiunta agli oli – a tutti gli effetti sarebbe da classificarsi come un additivo e che, tra l’altro, risulta estremamente pericolosa (formazione di zolfo corrosivo).
Altre posizioni mirano invece a non riportare un metodo per la determinazione del DBDS nella IEC 60666, ma invece ne vogliono proibire l’uso come additivo per gli oli minerali nella norma IEC 60296 di successiva revisione (IEC 60296: “Oli minerali isolanti per trasformatori e per apparecchiature elettriche”).

Massimo Pompili
Università degli Studi di Roma “Sapienza ” – IEC/TC 10 Secretary

Fabio Scatiggio
Terna spa

Vander Tumiatti
SEA Marconi

[1] CIGRE WG A2-32, “Copper Sulphide in Transformer Insulation”, Interim Report N. 1, May 2006;
[2] R. Campi, “Evoluzione della presenza di zolfo corrosivo negli oli isolanti”, Giornata di Studio CEI, Roma, Maggio 2007;
[3] M. Pompili, “Evoluzione normativa sugli oli isolanti in relazione allo zolfo corrosivo”, Giornata di Studio CEI, Roma, Maggio 2007;
[4] M. Duval and T 0. Rouse in Engineering Dielectries,  Vol.III, Electrical Insulating Liquids, R. Bartnikas Editor, Monograph 2, ASTM, Philadelphia / West Conshohocken, 1994;
[5] V. Tumiatti, R. Maina, F. Scatiggio, M. Pompili and R. Bartnikas, “Corrosive Sulphur in Mineral Oils: Its Detection and Correlated
Transformer Failures”, Proceeding of IEEE ISEI2006, Toronto (CA), 2006;
[6] F. Scatiggio, V. Tumiatti, R. Maina, M. Tumiatti, M. Pompili and R. Bartnikas,  “Corrosive Sulphur in Insulating Oils: Its Detection and
Correlated Power Apparatus Failures”, Accepted for publication on IEEE Transaction on Power Delivery, 2007;
[7] V. Tumiatti, M. Tumiatti, R. Actis, C. Roggero, “Prevenzione del rischio zolfo corrosivo per i trasformatori in olio”, Giornata di Studio CEI, Roma,
Maggio 2007;
[8] F. Scatiggio, C. Marchiori and P. Botelho, “Power Transformer Oils Containing Corrosive Sulfur.  The TERNA Experience”, 2007 My
Transfo do Brasil, Rio de Janeiro, 7-9 Marzo 2007.

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