Un articolo del 10 settembre 2007 sul sito Repubblica.it lancia un allarme a seguito di uno studio dell’università di Trent in Canada: la presenza dei policlorobifenili (PCB) si trova ancora, dopo 30 anni, nel tessuto adiposo delle orche che abitano i mari del Pacifico settentrionale.
L’articolo ci ricorda che i PCB fanno parte degli inquinanti organici persistenti, sono difficilmente degradabili e si accumulano nella catena alimentare. Nonostante nella maggior parte dei paesi occidentali il loro uso sia stato proibito dai primi anni ’70, la concentrazione di questi residui nelle acque è diminuita di poco. I ricercatori canadesi hanno accertato che almeno fino al 2063 i PCB saranno rintracciabili nel grasso delle orche e porteranno a una progressiva diminuzione della popolazione di questi cetacei.
La giornalista Cristina Nadotti, autrice dell’articolo, lancia un monito ricordandoci che i PCB furono proibiti per salvare gli esseri umani, sui quali hanno effetti dannosi quanto sui cetacei. Ora, visti gli sconcertanti risultati degli studi, occorrerebbe soffermarsi e riflettere sul fatto che siamo tra le specie a più alto rischio dal momento che occupiamo il primo posto della catena alimentare.
La Sea Marconi ha iniziato ad offrire soluzioni al problema PCB già dal 1982. Oggi il CDP Process©, impiegato per la dealogenazione e detossificazione dei PCB negli oli contenuti nei trasformatori, rappresenta la migliore tecnica disponibile sul mercato secondo il Ministero dell’Ambiente [Decreto Ministeriale 29 gennaio 2007 (So n. 133 alla Gazzetta Ufficiale del 7 giugno 2007 n. 130)]